A molti di voi il nome di Pasquale Ruju potrebbe non dire molto.
A meno che non siate appassionati di fumetti di qualità, oppure fan di qualche serie televisiva di quelle serie (una serie seria… va be’, fate finta di niente), o anche di letteratura di qualità o di buona cinematografia o di doppiaggio.
In uno qualunque di questi casi, il nome Pasquale Ruju, sceneggiatore di svariate serie per la Sergio Bonelli Editore, doppiatore, regista e attore, potrebbe dire parecchio più di “qualcosa”.
Cosa vuole dire “scrivere un libro a quattro mani”?
Per prima cosa è un errore semantico, perché per scrivere un libro servono più due teste che quattro mani.
E devo riconoscere che quando ho conosciuto Sergio Maria Teutonico, noto chef televisivo e insegnante, ho trovato sia un ottimo amico che un gran testone.
“Non guardare nell’abisso”, il secondo thriller di Massimo Polidoro
Chi legge abitualmente la rivista “Focus” ha già sicuramente incontrato Massimo Polidoro, e ne conosce l’impegno sul fronte della divulgazione scientifica e su quello, non meno importante, di “controllo sulle affermazioni sul paranormale”, obiettivo del CICAP, di cui è segretario.
I giallisti sorridono sempre: forse nascondono qualcosa?
Ha scritto moltissimi saggi sugli argomenti che gli stanno a cuore, e collabora abitualmente con molte riviste, oltre alla già citata “Focus”.
Meno persone invece sanno che il poliedrico Polidoro (bel gioco di parole, eh?) è anche un ottimo giallista.
Nel 2015 è uscito “Il passato è una bestia feroce“, in cui appare per la prima volta il personaggio di Bruno Jordan, un giornalista investigativo alle prese con un “cold case”.
Quest’anno, Massimo ci regala una nuova avventura di Jordan, in cui dovrà affrontare uno dei fantasmi forse più terribili della Repubblica Italiana: gli anni di piombo e i terribili attentati delle Brigate Rosse.
Immagine simbolo degli Anni di Piombo
Ho avuto la fortuna e il piacere di essere selezionato per entrare nella cosiddetta “squadra di lancio“, un manipolo di impavidi eroi che hanno due compiti principali: il primo è il piacere di leggere il romanzo in anteprima, il secondo è di inventare mille e più modi per divulgare questo romanzo e cercare di farlo diventare il #romanzodellestate, cosa che merita ampiamente.
“Non guardare nell’abisso” è un thriller teso, adrenalinico, a volte anche violento, con qualche leggera spruzzata di ironia e molta, moltissima Storia con la “S” maiuscola. Ci sono molti riferimenti a episodi realmente avvenuti durante il terribile periodo degli anni settanta in Italia, gli “anni di piombo”, appunto; un periodo terrificante, in cui abbiamo imparato a conoscere il vero significato della parola “terrorismo”.
Alla Storia, Massimo Polidoro mescola eventi mai avvenuti, ma plausibili, in modo da rendere il tutto un romanzo che parla “anche” di storia e non un romanzo storico.
Il protagonista è un giornalista che deve fare i conti non solo con il lavoro di tutti i giorni alla rivista “Krimen”, ma anche con la fama che gli è derivata dagli avvenimenti narrati nel primo romanzo.
Gestire la notorietà non è semplice, si rischia di andare in bocca a una “bestia feroce” in grado di masticarvi e sputarvi, portandovi dalle stelle alle stalle e viceversa più volte in un giorno.
…non fatevi la bizzarra idea che in quei pochi
mesi mi fossi trasformato in un monaco zen o in un santo
[Bruno Jordan]
Come nel precedente lavoro, anche qui il nostro eroe deve confrontarsi con il passato, con la storia quella con l’iniziale minuscola, quella di tutti noi. Un importante e potente personaggio, chiede a Jordan di trovare la nipote, figlia della figlia che si era unita alle Brigate Rosse per amore: la prima è stata uccisa, mentre della seconda non si hanno notizie da decenni, e da subito le indagini si rivelano molto difficili.
Per di più il “cliente” di Bruno è tutt’altro che dotato di pazienza, e non esita a trovare modi molto poco ortodossi per convincerlo a proseguire nelle indagini nonostante le difficoltà.
Abbiamo visto spesso nei nostri racconti preferiti il toposdel “solo contro tutti”, e qui Polidoro lo sviluppa in un modo interessante, restando – entro i limiti imposti da un’opera di fantasia – con i piedi ben piantati a terra. Bruno Jordan è davvero contro tutti: terroristi, polizia, altri giornalisti invidiosi del suo successo. Non ha idea di chi può fidarsi e di chi deve assolutamente evitare.
L’unica cosa che ha ben chiara è che l’abisso non ama essere scrutato: ma è il suo mestiere, e lo deve fare.
Ecco i link alle pagine Amazon dei due romanzi: leggeteli, non ve ne pentirete!
Molti lo fanno di getto, ottenendo della materia prima che va poi raffinata, limata, rifinita per ottenere il prodotto finito. In questo, il processo di “costruzione” di un libro è molto simile alla lavorazione di un qualsiasi prodotto, industriale o artigianale che sia.
Non sempre la fase di pulizia procede senza intoppi; anzi, spesso ci si trova davanti ostacoli che possono anche essere insormontabili, e che portano a dover rivedere completamente il materiale. Altre volte, la maggior parte per quello che mi riguarda, si tratta solo di eliminare refusi, errori ortografici e quelli di logica, i più subdoli.
Ci sono però degli errori che sono quasi impossibili da trovare, perché chi li ha scritti non sa che di errori si tratta, e neanche chi dovrebbe correggere il manoscritto, i famosi “correttori di bozza”, se ne accorgono. Sempre che l’Autore si sia affidato a un correttore serio, e non abbia fatto tutto da solo, nel qual caso la situazione è un perverso corto circuito.
In ogni caso, ricordo un romanzo che ho comprato anni fa, attirato dalla simpatia e dalla bellezza dell’Autrice, che si è rivelato una delusione. A parte i molti errori ortografici e la forma davvero non esaltante, ho trovato un terribile “rimase a dorso nudo”, che può essere spiegato solo immaginando che l’Autrice abbia sempre detto così, e quindi che l’abbia scritto in assoluta buona fede, e che chi avrebbe dovuto fare editing non l’abbia fatto per nulla, o che l’abbia fatto in modo molto superficiale.
La mia amica – essendo una ragazza intelligente mi è rimasta amica anche quando gli ho spiegato il mio pensiero sul suo lavoro – non ha più scritto nulla, e me ne dispiace.
Ma questi errori di base li fanno anche scrittori decisamente più in alto di lei e di me.
Anni fa lessi un bel romanzo dal titolo “Il giorno dopo domani” di Allan Folsom, che dal 1994 a oggi ha dato alle stampe ben cinque romanzi. Non sto a spiegarvi la trama, che è piuttosto avvincente e narra di esperimenti chirurgici, di una setta di fanatici e di altre cosette interessanti, specialmente per un amante del thriller.
Tra i vari elementi c’è anche quello che potrebbe sembrare un MacGuffin – ma che non lo è perché alla fine si capirà che contiene un oggetto di forma più o meno sferica di circa quindici centimetri di diametro, che non vi dico cos’è – ossia una scatola alta circa venti centimetri con (testuale) “una base di circa sedici centimetri quadrati”.
Non ho idea di come fosse indicata la dimensione nella versione originale, ma chiunque conosca un po’ di geometria capirà immediatamente che un oggetto sferico di quindici centimetri di diametro, non può assolutamente essere contenuto in una scatola la cui base è di sedici centimetri quadrati, perché il lato sarebbe di QUATTRO centimetri (quattro per quattro uguale sedici).
All’inizio non sapevo “cosa” ci fosse dentro, ma mi ero fatta un’immagine mentale della scatola molto precisa: stretta e alta. Avevo immaginato ci fossero delle penne, delle provette, qualunque oggetto stretto e alto.
Quando ho saputo cosa conteneva, ci sono rimasto malissimo, e il romanzo ha perso molto del suo appeal. Forse nella versione originale il testo diceva “sedici centimetri di lato”, dando un senso completamente diverso.
Peccato, un romanzo di qualche centinaio di pagine rovinato per una svista.